Il popolo di Annyr difficilmente dimentica i torti patiti. Soprattutto quando un intero villaggio subisce l’onta della sorpresa.
Cosa avrebbero mai potranno pensare le altre tribù? Se non avessero ripristinato velocemente il loro onore di cacciatori e guerrieri probabilmente verrebbero additati come debosciati; l’immagine della rovina del loro popolo di figli benedetti dagli dei, migrati verso nuove terre per affrontare nuovi popoli e mostrar loro quanto i loro dei amino chi li osanna.
Nessun intento di conquista territoriale muove i loro passi. Solo un bisogno religioso di battagliare. Eppure, poche notti prima, un manipolo di amazzoni era riuscito ad aggirare le vedette ed aveva sorpreso nel sonno il villaggio di Bap Hod, l’aveva messo a ferro e fuoco rapendo perfino giovani uomini.
I Wildfolk hanno una struttura sociale che innalza ad alti ranghi chi si comporta con ardore ma conscio del valore della propria esistenza. Eppure, quando anche gli dei più amorevoli perdono il piacere di guardare ai loro figli, la parsimonia viene meno. Così successe al villaggio di Bap Hod.
La rappresaglia venne organizzata mentre ancora il sangue ribolliva nelle vene. Le capanne non vennero nemmeno ricostruite per non dare al nemico la possibilità di tornare e colpire di nuovo. Le madri ed i giovincelli innalzarono da subito a Dhannya i lunghi riti per i futuri caduti in battaglia: che la Dea morta e rinata potesse accogliere le anime dei fedeli che cadranno.
“Ella non vi vuole con sè, non ne siete degni”
Le parole vennero comprese da tutti nel villaggio, nello stesso istante ed ovunque essi fossero.
Dal fitto dei boschi la tetra figura di un signore della decadenza avanzò verso il centro del villaggio, con movimenti talmente lenti da sembrar persino fermo.
“Prima di chiedere l’intervento di Dhannya dovrete provare il vostro valore. Dissotterrate i morti e porgeteli a me cosicché possano tornare velocemente a servire la natura. Li offrirò in pasto ai calabroni mentre voi dimenticherete di conoscere chi li ha messi al mondo”
La sola presenza del sacerdote di Morrigu, l’avatar della morte, distrusse quel poco di autostima che ancora rimaneva tra i sopravvissuti della razzia amazzone. Il silenzio calò su ciò che rimaneva di Bap Hod e mestamente vennero eseguiti gli ordini.
Testa china e voce bassa, una mano aperta protesa verso la fila di cadaveri, il pallore delle carni tipico di chi sta attraversando la non vita. Nonostante nessuno riuscisse a percepirne la voce, tutti capirono che il sacerdote li stava offendendo, ed il tono degli sproloqui era così grave che i vivi rimpiansero di non esser morti ed i morti iniziarono a contorcersi. La Vita prese possesso dei loro corpi nella forma di un incredibile ammasso di insetti e vermi che brulicavano in un orgia estatica di nutrizione. Il macabro banchetto si consumava nel corpo dei morti, e mentre il sacertote gioiva del ciclo eterno della natura i sopravvissuti di Bap Hod si asciugavano le lacrime trattenendo conati.
Il signore della decadenza li avrebbe guidati a ristabilire il loro onore. Ma a quale prezzo?
L’incursione notturna avvenne con estrema semplicità. Gli Halodynes vivevano troppo sicuri della loro forza, tanto da lasciare sguarniti i confini naturali che li dividevano dalle genti di Annyr. I villici di Bap Hod salirono alla spianata dei templi di Safina senza incontrare resistenze e lì in un baleno diedero fuoco alle strutture sacre, profanarono le sepolture ed accelerarono il crollo di tetti e colonne impiegando la forza delle loro stesse braccia. Rimasero diverse ore ad assistere al rogo intonando canti gioviali, lì, di fronte allo scempio commesso, in attesa della reazione delle popolazioni locali. Reazione che non tardò ad arrivare.
Alle prime luci dell’alba dalla cittadina ai piedi della collina iniziò a brulicare di gente frenetica. Nonostante la distanza gli incursori potevano percepire la costernazione e la disperazione degli abitanti che volgevano lo sguardo ai resti fumanti dei loro templi. Come formiche spaventate dal fuoco uscivano dai loro rifugi per riempirsi gli occhi della orribile scena e si riparavano sperando che non fosse reale, sperando che non fosse successo, lì e ora.
Si levarono suoni di corni da guerra tra i pianti e le grida. Una piccola guarnigione di opliti si radunò nella strada principale mentre drappelli di ogri passavano il valico dei colli ad est. Felici per lo scontro imminente gli uomini guidati dal sacerdote di Dhannya presero posizioni di battaglia, il primo impatto lo avrebbero subito i guerrieri devoti a Morrigu, la loro esistenza, a cavallo ta la vita e la morte li rende stoici, insensibili alla paura. I lamafromboliere avrebbero distratto le armate nemiche esponendole all’attacco delle cacciatrici Scabhta.
Spalle alla cime del colle e pochi boschi dove ripiegare nelle azioni mordi e fuggi. Sarebbero morti tutti e già sarebbe stato un bene, sarebbero morti dopo aver inflitto un torto maggiore di quello subito.
Ancor meglio sarebbe stato se fossero riusciti a far permeare oltre le fila nemiche un singolo guerriero, uno solo, un ulteriore sfregio ai nemici, un testimone che, tornato nei territori occupati dai popoli dei boschi, avrebbe ispirato i bardi raccontando l’epica fine del villaggio di Bap Hod.
Miniature: Megalith Games
Pittura miniature: Giovanni Bosio
Terreno: Giovanni Bosio
Testo: Giovanni Bosio