Il 22 giugno 1941, contravvenendo al trattato di pace siglato con l'Unione Sovietica nel 1939, la Germania nazista, reduce da una campagna di successi in Europa, dichiarò guerra all'Unione Sovietica.
La massiccia invasione, pianificata con cura con gli alleati dell'Asse, era siglata come Operazione Barbarossa. L’offensiva prevedeva un massiccio impiego di truppe: circa 4,5 milioni di uomini assaltarono a sorpresa il colosso sovietico partendo dalle loro basi in Polonia, Finlandia e Romania, ormai sotto il giogo tedesco. L’obiettivo principale erano le risorse sovietiche.
Il patto di non belligeranza aveva dato tempo a entrambi di prepararsi a questa eventualità ma, sul fronte sovietico, il maggior coordinamento delle forze d’invasione fece, inizialmente, la differenza. Il blitzkreig tedesco, attraverso un confine che si estendeva per quasi 2.900 km, ebbe successo e i sovietici subirono perdite enormi. Già nella prima settimana le forze tedesche avanzarono di 200 miglia nel territorio distruggendo quasi 4000 aerei, un numero imprecisato di carri e misero fuori combattimento almeno 600.000 soldati dell'Armata Rossa.
Nel dicembre 1941, le truppe tedesche arrivarono alle porte di Mosca ma, come Napoleone, avevano sottovalutato gli effetti dell’inverno russo (soprannominato “General Winter”): l’offensiva, malgrado gli sforzi, si arrestò. Gradualmente, i rapporti di forza si invertirono grazie all’immenso sforzo delle fabbriche russe e del sacrificio di milioni di soldati sovietici (si stima che oltre 800.000 sovietici furono uccisi e altri 6 milioni feriti o catturati). Il piano di Hitler di conquistare l'Unione Sovietica prima dell'inverno era fallito, decretando un punto di svolta nella guerra.