Pochi contro molti. Questo è un argomento tra i più esaltanti nella storia miliare di ogni epoca: il valore, l’astuzia, la fortuna, il morale e magari l’ostinato spirito di corpo a volte riescono a farcela contro un destino apparente segnato dall’esorbitante numero degli avversari. Il dramma che, sulla carta, appariva con un finale già prestabilito, finisce poi per rivelarsi come una prova di eccezionale eroismo degno di essere ricordato negli annali della storia militare. E non conta se l’esiguo numero di eroi alla fine ce l’abbia fatta a sconfiggere il ben più numeroso avversario o meno: l’importante è aver resistito, aver venduta cara la pelle, imponendo al nemico un utilizzo e un logorio di risorse superiore a ogni previsione, con spesso tragiche conseguenze tattiche e soprattutto strategiche.
Una cosa del genere accadde in Africa, o meglio nell’Africa Orientale Tedesca (Deutsch-Ostafrika), nel corso della I Guerra Mondiale, una campagna esaltante non particolarmente nota a tutti ma contraddistinta da battaglie campali, sbarchi, navi affondate, scontri sui laghi, improbabili missioni aeree, marce estenuanti, imboscate, colpi di mano, massacri indiscriminati e atti di disinteressata cavalleria. Senza contare che le forze belligeranti dovevano vedersela con le malattie tropicali (in primis la malaria) che colpirono decine di migliaia di uomini di ambo le parti, ma anche con serpenti velenosi, coccodrilli e possenti ippopotami inferociti, molto più aggressivi se disturbati nel loro ambiente naturale di quanto il loro aspetto di paciosi fannulloni farebbe intendere.
Lungo tutto il corso della guerra, non più di 25.000 uomini del Kaiser Guglielmo II, tra i quali circa 3.000 tedeschi, inclusi civili e riservisti, e il resto ascari delle Schutztruppen, tennero a bada circa 150.000 soldati britannici (inglesi, sudafricani, indiani e rhodesiani), belgi e portoghesi, sottraendo queste forze allo scontro principale che infuriava sul fronte europeo. Questo piccolo contingente pressoché totalmente isolato dalla madrepatria, pressato da ogni parte da avversari numerosi, ben armati e dotati di ampie risorse in termini di armi, munizioni, attrezzature e viveri, pur ridotto al lumicino agli sgoccioli della guerra, di fatto si arrese solo 15 giorni dopo la fine della guerra in Europa, ricevendo il pieno rispetto da parte del nemico e l’ammirazione degli stessi generali avversari.
Ma dietro una grande azione militare, come si sa, spesso c’è un grande uomo e l’anima di questa lunga e disperata resistenza fu un ufficiale dotato di grande energia e superiore carisma, amatissimo dai suoi soldati (nazionali e ascari) e temuto dai quartieri generali nemici, che non riuscivano a venire a capo dei suoi fulminei spostamenti su un territorio di fatto aggredito da ogni parte da avversari superiori per numero e mezzi: il colonnello (poi maggiore-generale) Paul von Lettow-Vorbeck. Il brigadiere generale inglese Fendall lo descrisse così, dopo averlo conosciuto a Pechino durante la rivolta dei Boxers del 1900: “Il colonnello Vorbeck era un uomo notevole. Alto, con le spalle quadrate, con i capelli grigi e gli occhi chiarissimi che vi guardano attentamente in faccia, ma senza spavalderia nel portamento. Egli era un gentiluomo nel senso più ampio del termine”.
Insomma, era pronto per entrare nella Storia.
Renato Genovese
Miniature 28mm Brigade Games (USA), Copplestone, Wargames Foundry e Gripping Beast (Woodbine), fotografate e dipinte dall’autore, salvo la fanteria britannica e i cavalieri dipinti da Tommy Nicosia.