«Non era molto alto, ma era di costituzione forte e tarchiata, il suo aspetto era freddo e terribile, il naso grande e aquilino, le narici costantemente dilatate e il viso magro e rossastro; le lunghissime ciglia incorniciavano i grandi occhi spalancati dall’aspetto minaccioso a causa delle folte sopracciglia nere»
(Niccolò Modrussa a papa Pio II, 1466 circa)
Vlad III, nato intorno al 1436 a Sighişoara in Transilvania, era il secondo figlio legittimo di Vlad II Dracul, a sua volta figlio illegittimo di Mircea I di Valacchia. Il padre era soprannominato “Dracul” per la sua appartenenza all’Ordine del Drago, un ordine cavalleresco fondato da Sigismondo di Lussemburgo, Imperatore del Sacro Romano e re d’Ungheria con lo scopo di proteggere la Chiesa cattolica dagli eretici come gli hussiti, che costituivano una pericolosa minaccia per l’Europa centrale, ma anche per opporsi alla dilagante avanzata ottomana nei Balcani verso l’Europa. Così sia Vlad che i suoi fratelli presero l’appellativo di “Draculesti”, figli di Dracula.
Ma a Vlad si associò anche la denominazione di “Impalatore” (Tepes), vista la sua propensione a sottoporre a questo tipo di morte atroce i suoi oppositori (Turchi, Ungheresi, Sassoni o propri sudditi che fossero) o coloro che in qualche modo offendevano la sua sadica e bizzarra emotività.
A 8 anni il futuro Impalatore fu inviato nel 1444 alla corte turca in qualità di ostaggio insieme a suo fratello Radu detto il Bello: qui entrambi vennero educati alla cultura e alla religione musulmana, oltre alla scienza militare ottomana, alla matematica, alla geografia e a un certo gusto per la ferocia che in seguito, quando divenne voivoda della Valacchia, si riportò in patria insieme alla convinzione dello scarso valore della natura umana. La vita non valeva nulla — se suo padre si fosse dimostrato sleale nei confronti del sultano anche la sua vita non avrebbe avuto alcun valore — e l’etica non aveva posto negli affari di stato, maturando due dei suoi tratti fondamentali: il sospetto (non si sarebbe mai più fidato di nessuno) e la sete di vendetta (non avrebbe mai dimenticato né perdonato uno sgarbo).
Ritornato in patria e ottenuto il potere, Dracula dal 1457 al 1460 si trasformò in acerrimo nemico dei suoi compatrioti che avevano favorito l’usurpazione del suo titolo. La prima fulminante incursione avvenne nell’area della città di Sibiu quando Dracula bruciò e saccheggiò città e villaggi, distruggendo tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Poi toccò a Brasov (Kronstadt in tedesco), la principale città dei Sassoni residenti in Romania. La città, centro del commercio tedesco tra Valacchia e Transilvania, ebbe il macabro privilegio di raggiungere il più alto numero di vittime impalate di ogni altro abitato del principato. Le colline che la circondavano furono costellate di pali sui cui erano conficcate le vittime di Vlad, decomposte dagli elementi o dilaniate dagli avvoltoi.
Con la presa del potere, Vlad era riuscito a formare un’armata di tutto rispetto, che in campo aperto si reggeva soprattutto sulla cavalleria leggera (i Viteji), rinforzata da un nucleo di cavalieri mercenari tedeschi, ungheresi, serbi e polacchi. Egli preferiva la battaglia mobile, con attacchi di sorpresa e imboscate, ma quando si trattava di difendere il paese dai Turchi, ricorreva alle posizioni fortificate situate soprattutto tra i boschi e le aspre montagne della Valacchia. In queste azioni poteva disporre di un agguerrito nerbo di fanteria ben addestrata da mercenari italiani e della leva in massa di contadini e montanari che, tra le aspre gole e le immense foreste, riuscivano a opporsi con successo anche alle migliori truppe ottomane. Disponeva, inoltre, di un buon numero di arcieri, balestrieri e uomini muniti di armi da fuoco, oltre a una discreta quantità di artiglierie, utilizzate specialmente in funzione difensiva.
Lo scenario del display raffigura uno scontro con le forze Ottomane ai piedi del suo castello di Târgoviște: miniature in 28mm The Assault Group, Old Glory, Front Rank, Kingmaker e Casting Room, dipinte da Renato Genovese, Tommy Nicosia e Fabrizio Cheli.
Renato Genovese