La conquista della capitale tedesca è l’atto conclusivo della Seconda Guerra Mondiale in Europa. L’ostinata determinazione di Hitler a resistere a qualunque costo unita alla volontà degli Alleati di ricevere una resa incondizionata, trasformano questo episodio in un ennesimo bagno di sangue, da entrambe le parte in cui, come spesso è accaduto in passato, a farne le spese sarà la popolazione civile non evacuata, prigioniera all’interno della città.
Per la Germania, aggredita su due fronti e incapace di contenere il dilagare degli anglo-americani da Ovest e dei russi da Est, le ore sono contate. La popolazione auspica che siano i primi a conquistare la capitale. La storia ci propone un finale diverso.
Il dittatore sovietico Stalin, confermando il suo atteggiamento ambiguo durante il corso di tutto il conflitto, malgrado affermi di non aver alcun interesse nei confronti della capitale, punta invece con grande determinazione alla sua presa. Forte di un esercito di oltre due milioni di uomini, con più di 6.000 carri armati e 40.000 pezzi d’artiglieria, senza contare il formidabile appoggio aereo, è deciso a scatenare una tremenda offensiva contro gli ultimi difensori del Terzo Reich e di piantare la bandiera rossa nel cuore della città.
Il compito di arrestare la marea sovietica è affidato a una forza estremamente eterogenea di oltre 700.000 uomini, l’ultimo baluardo a difesa della capitale, supportato da poche migliaia di mezzi con gravi carenze di carburante. L’aviazione tedesca è pressoché inesistente, e contribuirà alla battaglia in misura irrilevante.
Le forze armate tedesche sono il pallido ricordo di quelle di un tempo. A truppe d’elite come le Waffen S.S. con equipaggiamenti moderni ed estremamente motivate troviamo giovani e anziani, privi di qualsiasi addestramento dotati di una disparata panoplia d’armi, dai recenti fucili d’assalto ai moschetti risalenti alla Prima Guerra Mondiale.
L’attacco a tenaglia russo è guidato a Nord dal maresciallo Zhukov, comandante del 1° Fronte Bielorusso, a Sud dal maresciallo Konev, comandante del 1° Fronte Ucraino, l’obiettivo è attraversare i fiumi Oder e Naisse. I tedeschi attendono l’imminente assalto al riparo delle loro trincee. Alle ore 3.00 del 16 aprile l’artiglieria russa del fronte nord apre il fuoco. Migliaia di granate e razzi travolgono le postazioni tedesche. Il fuoco di sbarramento è seguito dall’assalto della fanteria, respinto con strenua determinazione dai difensori tedeschi. Il nodo cruciale della difesa è rappresentato dalle alture di Seelow, un complesso di trincee e bunker scavati su questo pendio, reso quasi impraticabile dalla pendenza e dalla sua complessa orografia.
Qualche ora dopo anche il fronte meridionale parte all’assalto delle posizioni nemiche. In questo punto i soldati dell’armata rossa, seppur investiti dalla reazione nemica, riescono a progredire con un’infiltrazione di 12 km rispetto alla linea del fronte.
I progressi del collega irritano Zhukov che tenta disperatamente d’infrangere le fortificazioni nemiche investendo con il suo maglio corazzato. La mossa risulta perdente a causa del terreno fangoso che fa slittare i carri armati impedendogli di raggiungere le trincee. Il primo giorno di combattimenti al nord frusta le ambizioni sovietiche.
Il giorno successivo, sfruttando la ricognizione aerea, Zhukov decide d’investire la cittadina di Seelow, nodo cruciale del sistema difensivo tedesco. La reazione dell’artiglieria controcarro e dei lanciarazzi portatili delle fanteria frustra il suo tentativo.
A sud procede l’avanzata delle truppe di Konev che si spinge a Nord per tagliare le vie d’accesso alla città. Finalmente alla fine del terzo giorno, le spossate divisioni tedesche sono costrette a ritirarsi di fronte al travolgente impeto sovietico. Il 20 aprile la città è sottoposto ad un feroce bombardamento dell’aviazione anglo-americana, al termine del quale il Fuhrer festeggia il suo 56° compleanno, esortando i soldati a resistere sul posto e i giovani e gli anziani a trasformare la città in una nuova Stalingrado. I bolscevichi dovranno pagare col sangue ogni metro d’avanzata. La città è condannata. Il 21 mattina l’artiglieria sovietica prende di mira il centro. Il nemico è alle porte. L’ultimo bastione di difesa è rappresentato dagli uomini in ritirata dalle alture di Seelow e dai Volksturm. Nel frattempo Hitler perde il contatto con la realtà protetto all’interno del suo bunker sotto la cancelleria del Reich. Inizia ad impartire ordini contradditori e sposta armate fantasma a difesa della città. L’accerchiamento russo si completa il 25 aprile quando i reparti agli ordini dei rispettivi marescialli s’incontrano ad est chiudendo Berlino in un cerchio di fuoco. I progressi delle truppe corazzate nel centro urbano sono resi difficili dalla presenza di barricate, trincee e soprattutto dagli assalti delle S.S. e della gioventù Hitleriana armati con i Panzerfaust, armi controcarro efficaci contro i loro mezzi. La difesa della città è rappresentata da piccole sacche di resistenza che i russi sono costretti ad eliminare una alla volta. Il conto delle vittime nel frattempo aumenta a causa delle S.S. che impiccano i disertori, trasformando una città spettrale in un luogo ancora più tetro.
Il 29 aprile le truppe sovietiche, ormai a 400 m dal Reichstag si preparano all’assalto finale. Gli obiettivi principali, oltre al parlamento, sono gli edifici governativi. Gli scontri avvengono corpo a corpo, con entrambi le fazioni coinvolte in una disperata lotta per la sopravvivenza.
Il 30 aprile Hitler si toglie la vita, lasciando il Terzo Reich al suo destino. Fatalmente nello stesso giorno, la bandiera rossa sventolerà sul tetto del parlamento tedesco.
La notizia della morte del Fuhrer viene diffusa il giorno successivo. Gli ufficiali tedeschi cercano di prendere contatto con i comandanti sovietici per negoziare la resa, l’unica accettabile è quella incondizionata, pena la distruzione totale della città. Il 2 maggio la Germania si arrende, segnando la fine del Terzo Reich. Berlino è caduta.